La poesia e le lettere, il pensiero meramente filosofico e il politico, sono in un
sincrono progresso. Alfieri e Gioberti, Foscolo e Leopardi, Manzoni stesso, Pellico
e Guerrazzi, Mameli e Giusti vivono tutti la stessa idealità entro il laborioso,
doloroso travaglio civile.
Le arti figurative non furono all’unisono. Ebbero nei primi vent'anni del secolo
Canova, aulico e neoclassico statuario, grande vittima di nordica estetica. Nessuno
dei pittori contemporanei l’eguagliò. La pittura, non ebbe il suo Canova e ancor
meno il suo Foscolo, e il suo Alfieri; e come nell’età neoclassica non ebbe né un
David, né un Gros, né un Ingres, così nell’età romantica non ebbe né Delacroix,
né Géricault. Solo F. Hayez emergeva; come in tre vite potè vedere il bucintoro
dell’ultimo Doge e la presa di Roma, e visse tre esperienze dell’arte italiana; ma,
se non può rivaleggiare con i grandi spiriti italiani contemporanei suoi, Rossini
e Bellini compresi, lascia notevoli opere e eccellenti ritratti.
Mazzini partendo da un santo errore di filosofia dell’arte che non disincaglia
il puro fatto estetico-lirico dalla attività pratica dello spirito, utilitarista e
moralista dell’estetica, spiega quasi senza volerlo questo stato di cose. E quando
vede le arti in funzione etico-politica e sociale scrive: «L’arte è per noi una
manifestazione eminentemente sociale, un elemento di sviluppo collettivo inse-
parabile dalla azione di tutti gli altri elementi di vita.» 1 romanzi di Guerrazzi
e la pittura romantico-patriottica servirono la missione mazziniana ma non
toccarono la grandezza dell’arte
Si suole porre fra il 1860 e il ‘61 l’inizio della storia unitaria d’Italia. Si inizia
con la proclamazione del «regno» d’Italia un periodo di mediocrità politica che
non si potrebbe dire erede dell’eroico Risorgimento. Le aspirazioni del Risorgi-
mento furono deluse.
Eppure lo spirito italiano dava Carducci, De Sanctis e Verdi, e la pleiade dei
politici mazziniani. E per la pittura si preparava la fioritura migliore del secolo.
Già il Selvatico scriveva verso la metà del secolo intorno alla «opportunità di
trattare in pittura anche soggetti tolti alla vita contemporanea». Le discussioni
sul tema proposto dal Selvatico, le esperienze politiche e sociali, gli influssi stra-
nieri determinano un nuovo indirizzo delle arti figurative. Senza’ volere né
classificare, né dividere per «genere», può dirsi si delineino tre correnti che sem-
brano tre «generi» e sono invece tre aspetti del gusto dell’epoca, tre idealità
talvolta in polemica. Il quadro detto «storico»; quello detto precisamente «di
genere»: il paesaggismo.
«Quadro storico» e «pittura di genere» pareva avessero nella tradizione italiana
sei e settecentesca una premessa; ma l’uno e l’altro sono nell’800 cosa ben
diversa. Nell’800 il «genere» fu piuttosto aneddotico e illustrativo; come pittura,
si trovò spesso fra il romanticismo che tramontava e il verismo che appena
nasceva; per la ispirazione si trovò fra il quadro di invenzione romantica e il
quadro storico.
In generale il «quadro storico» diede cattiva pittura; ma occorre esaminare caso
per caso, perchè si può incontrare l’eccezione, come quella data da Faruffini e
da Toma. Il quadro di genere, meno programmatico e presuntuoso, andò dagli
Induno al Favretto; il quadro storico, da Ussi a Barabino, da Celentano a Maccari
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