bile del soggetto, cerca di rendere la personalità sua che ne é tutta consapevole, in cui il soggetto vive nella più squisita intimità spirituale; e nel suo senso di dolore e di misticismo abbraccia sconfinati problemi d’anima. Gli stessi procedimenti tecnici, o meglio le risorse di mestiere usate dal Mancini, bastano a specificare i fini e la natura del suo stile. Ponendo due complicatissimi reticolati, perfettamente corrispondenti, dinnazi al modello ed a con tatto della tela da dipingere, egli divide l’una e l’altro in una serie di piccoli quadrati uguali. Così, scomposto in frammenti geometrici di superficie, il soggetto perde a un tempo la sua forma e il suo significato. Ogni segmento del vero non é più altro che un valore pittorico, un tono da riprodurre nel corrispondente segmento della tela, e dalla precisione e dal vigore con cui sono resi i singoli toni risulta l’accordo mirabile deU’insleme. Ma l’artista per riprodurre la realtà dispone di mezzi materiali assai imperfetti e l’Helmholtz, dandoci nella sua Ottica della Pittura un’idea della vanità di tutti gli sforzi per riuscire a rendere i rapporti assoluti fra le qualità e quantità d’intensità luminose, ha dimostrato che il più violento bianco di un quadro, sottoposto alla luce più splen dente, appare vicino al bianco naturale come un grigio di bassissima tonalità, e che il nero più intenso che all’artista sia dato di usare, quando il sole lo percuote é appena suf ficientemente oscuro per rappresentare la vera luce di un oggetto rischiarato dalla luna. Perciò il Mancini a rendere certe vibrazioni luminose troppo intense non si perita di ricorrere ai frammenti di vetro, di specchio, di talco multicolore. Non c’é dubbio che in questa noncuranza assoluta di ogni valore spirituale del soggetto é una debolezza grave, ma non é meno vero che nell’esaltarlo unicamente come valore plastico e pittorico, cioè come volume, come colore, come oggetto di rifrazione, l’artista romano tocca le cime