è Sciuti. Se il quadro storico fu «Conservatore» in arte, la pittura di genere fu
liberale, radicale rivoluzionario fu, anche in Italia, il rinnovamento veristico.
Questo rinnovamento si avvera con un nuovo credo estetico che dichiara la
guerra all’Accademia, alla decadenza romantica, al classicismo. Ma, avversando
il sentimentalismo non prescindeva dal sentimento. Senza accorgersene, quindi,
per il suo irrazionalismo e l’atteggiamento libertario era in fondo ribelle, e tuttavia
erede del romanticismo. 1 pittori del rinnovamento ebbero in tutta l’Italia una
comune base di nuovi principii, ma di regione in regione la riforma assunse carat-
teri particolari, proprii ai vari gruppi; onde si può dire che il secolo XIX nella
sua seconda metà, presenti una certa distinzione regionale che corrisponde ancora
a quella divisione di scuole che aveva fatto la gloriosa tradizione della pittura
italiana. Sono le ultime traccie che si sciolgono poi in una tendenza unitaria
nazionale e internazionale. È un moto contemporaneo e affine a quello francese
dell’impressionismo. Il quale ebbe, non vi è dubbio, influsso nello sviluppo del
moto italiano, ma influsso di idee, di concetti, di principii, e non di tecnica
o di forma. Di questa affermazione troviamo le prove non soltanto nella sicura
originalità dei pittori italiani, per esempio toscani e veneti, ma nella schietta
flessione più che italiana proprio regionale e talvolta paesana del loro linguaggio
pittorico. E. invece, i casi di assimilazione al gusto francese (p. es. De Nittis e
Boldini), confermano la fedeltà degli altri alla tradizione italiana.
La lotta si accende in varii focolai. La polemica tra i fautori del vecchio e del
nuovo si inasprisce fino a prendere carattere di vera battaglia. La secessione
avviene su questi principii: ritorno alla natura, alla osservazione libera, all’espres-
sione schietta e scevra da ogni cerebralismo, ogni artifiziosa superstruttura, per
fermarsi ai puri e semplici valori pittorici. 11 quadro storico, l’aneddoto, il costume,
vengono fuggiti e additati come decadenza. Colore, aria, di cui la tavolozza diviene
sostanza; pennello e tòcco sono metro e rima; il paesaggio con la sua nuova
poetica, il reale modello. Colore, luce generatrice di colore e di forma, sono
i protagonisti del quadro; si abolisce il modello professionale, il soggetto diviene
indifferente, si disertano gli studii chiusi, si corre all’aria aperta; l’orizzonte
è il confine della fantasia, la vibrazione della luce è il sogno pittorico ad occhi
aperti, il fantasma poetico-pittorico che si insegue con esaltazione. Per il lumi-
nismo, forse pochi consapevoli videro la attualità di Leonardo.
Su queste basi comuni nascono i varii cenacoli. Napoli vedeva e viveva la rigo-
gliosa fioritura della sua vita intellettuale attorno al vecchio Ateneo. Torna-
vano, dopo l’esilio o la prigione, geniali patrioti come De Sanctis (che veniva
da Zurigo) e Settembrini, filosofi ed esteti come Spaventa e Tari. Mentre si
preparava la generazione di Croce, Bovio, Antonio Labriola e S. di Giacomo,
la pittura si rinnovava con l’iniziativa di Giacinto Gigante ispirato da Pitloo,
cui seguirono Carelli, i Palizzi (*) fino a Dalbono (*). Dichiarata guerra
all’Accademia, furono cacciatori di impressioni in libero paesaggio lungi dalle
Aule. Si riunivano a Portici e però furono detti della «Repubblica di Portici»,
percorrevano l’arco incantato del golfo di Napoli, si estasiavano alle vedute
«di Capri la marina e di Napoli il porto e Mergellina»
e furono chiamati posillipisti. Morelli (*) per un senso, Toma (*) per un altro
rimanevano come estranei alla rivolta. Il più celebre, per combattività e
per intrinseci valori, fu quello fiorentino che ebbe il suo «covo» al Caffè Michel-
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