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Chi volesse ordinare una Esposizione capace di espri
mere in una sintesi completa le tendenze e gli spiriti che
animano l’arte italiana dei giorni nostri, dovrebbe muovere
dalle opere di Domenico Morelli e di Filippo Palizzi, di
Telemaco Signorini e di Giovanni Fattori, di Antonio Fon-
tanesi e di Giovanni Segantini, di Francesco Faruffini e di
Tranquillo Cremona, di Achille D’Orsi e di Antonio.
Grandi, per venire giù, traverso a cento nomi e a cento
manifestazioni diverse, fino ai Ciardi, ai Fragiacomo, ai Tito,
ai Michetti, ai Sartorio, ai Previati, agli Innocenti, ai Man
cini, ai Bistolfi, ai Canonica, ai Trentacoste, e, dopo
costoro, ai giovanissimi che talvolta esprimono nella stra
nezza della ricerca e nella singolarità di una tecnica di ecce
zione la loro sete inestinguibile di rinnovamento. Dovrebbe,
cioè, partire dagli inizi di quei movimenti i quali, sia che
si chiamassero „nuova scuola napoletana“, „macchia fioren
tina“, „impressionismo pittorico lombardo“ (da non con
fondere con l’impressionismo francese), ebbero sempre
natura e fini schiettamente rivoluzionari, per giungere ad
altre note di ribellione prorompenti ogni volta che la spinta
animatrice in cui avevano presa forma i nuovi sogni e le
nuove idealità artistiche sembrò irrigidirsi nella immobilità
di una formula.
I documenti di questa storia recentissima sono noti ai
frequentatori dei Musei e delle Esposizioni, e l’Italia ne sta
raccogliendo nella Galleria di arte moderna di Roma — da
pochi mesi completamente riordinata — i più singolari,
il cui coordinamento già ora stupisce e ogni giorno più
stupirà coloro i quali nell’arte contemporanea italiana erano
avvezzi a considerare sopra tutto le forme caduche, nate da
una mal compresa j imitazione deH’impressionismo francese.